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Io e le Macine

So bene come il titolo di questo post non sia romantico quanto quel film di Woody Allen che velatamente prova a citare – Io e Annie – ma date le circostanze, lo reputo adeguato.
Perché ho una confessione da fare.

Sono le 7.20 di ieri sera quando esco di casa con il consapevole e unico obbiettivo di comprare un pacchetto di “Macine”, noti e storici biscotti alla panna del Mulino Bianco.
Data l’ora e l’impazienza, mi dirigo senza indugio al supermercato più vicino, distante poche centinaia di metri.
Metto piede dentro la Conad, e somiglio ormai a un tossico in astinenza alla disperata ricerca di una dose fra troppi corridoi pieni di troppe cose di troppe marche diverse.
Mi muovo veloce e sempre più irrequieto rivolgendo sguardi rapidi agli scaffali che mi circondano, quando un dubbio improvviso mi getta nel panico: <<se non le avessero? se fossero finite?>>
Frasi che mi rimbalzano in testa, ma fortunamente scompaiono immediatamente quando individuo sul quarto ripiano l’oggetto dei miei desideri.
Ciò nonostante, non lo prendo subito.
Mi guardo intorno.
E’ un pezzo che non osservo con attenzione la zona biscotti di un supermercato.
Devono essere anni in effetti, perché noto, ed è un colpo al cuore, la scomparsa dei “Krumiri” Bistefani nella versione ricoperti di zucchero. Struggenti dolcissimi ricordi d’infanzia.
Avverto un rumore e mi giro all’istante, rilevando la presenza, alla mia destra, di un signore sulla cinquantina. Guarda i biscotti di varie marche, sembra indeciso.
Per un istante lungo secoli temo il tizio sia lì solo e soltanto per fare incetta di “Macine”, portarsi a casa l’intero scaffale.
Un brivido freddo mi percorre la schiena.
Sono come bloccato, non trovo il coraggio di agire per primo.
Tentando un diversivo, mi avvicino a pacchetti verdi di biscotti toscani il cui ingrediente fondamentale pare essere l’olio. Ne prendo una confezione, fingo di esaminarla a fondo tenendo in realtà ben d’occhio il mio avversario.
Mi sento come nel duello finale di un film di Sergio Leone.
Manca soltanto che la musica interna del supermercato suoni una colonna sonora di Morricone, ma non accade.
La tensione è all’apice, si palpa nell’aria, quando lui si appropria di un generico pacco di dolciumi marchiato Conad.
E se ne va.
Respiro profondo.
Sono solo adesso, e mi tranquillizzo.
Con nonchalance degna di un attore del cinematografo agguanto una confezione di “Macine” da 400 grammi, la soppeso, stimo la quantità di biscotti contenuta.
La poso dopo pochi secondi, convinto di meritarmi senza ombra di dubbio quella maxi da 800 grammi.
La decisione è subito definitiva.
Vado in coda per pagare; c’è poca gente, data l’ora.
Quando al mio turno mi faccio avanti con i soli biscotti la giovane cassiera, osservandomi attraverso occhiali vagamente retrò su pesante montatura nera, mi rivolge un’espressione a metà fra il pietoso e la comprensione complice.
Indifferente e senza imbarazzo, le porgo i miei due euro e qualcosa, rifiutando gentilmente la busta offertami.
Appena fuori il senso di soddisfazione prevale, e ostento orgoglioso il trofeo ai pochi passanti.
Comunque sia mi trattengo, decidendo di non aprire la confezione per strada.
Poche decine di metri mi separano ormai dall’agognato primo biscotto.

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