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Decalogo della festa sbagliata

Sartre parecchi decenni fa ha scritto un libro intitolato La nausea, e a dire il vero non ho idea di cosa parli.
Ma ricordo di averlo visto per anni, questo volumetto, su uno scaffale della libreria dei miei, anche se dubito qualcuno in casa si sia mai avventurato nella sua lettura.
Lo cito perché il titolo che volevo dare a questo post, in qualche modo, me lo ha fatto tornare in mente (chiarisco: all’inizio lo avevo intitolato L’imbarazzo).
Comunque, tralasciamo Sartre e l’esistenzialismo, che poi non c’ho mai capito granché, e veniamo a noi.

Non so se vi sia mai capitato di sentirvi fuori luogo a una festa.
Vagamente imbarazzati di trovarvi lì e non saper che fare, non saper bene come passare il tempo, un po’ pentiti di essere venuti.
“Solo ora mi rendo conto che la mia serata qui sarà una lunga, lenta, soffocante agonia…” dice Rob Gordon, alias John Cusack in Alta Fedeltà, finito a una festa a casa di una ex.
Sono quelle feste in cui non conoscete nessuno o quasi, o si stratta di conoscenze superficiali.
Quelle feste in cui guardate spesso l’orologio, ma purtroppo è sempre troppo presto per andarsene senza mettere in discussione quel minimo sindacale richiesto in termini di educazione rispetto a chi vi ha invitato.
Ignorate come riempire quell’ora e mezzo almeno, ma forse anche due, che vi separano dalla liberazione.
I minuti scorrono lenti, qualche volta lentissimi.
Ragazze carine e libere e vagamente socievoli, zero.
E’ un mezzo strazio, diciamolo.
Il tavolo del buffet e delle bevute è l’ancora di salvezza classicissima e un po’ scontata. Ha il pregio di farvi sembrare, come dire, occupati in qualcosa.
Ne parla in un bel passaggio Fitzgerald.
“Non appena arrivato feci il tentativo di trovare il padrone di casa, ma le due o tre persone a cui chiesi di lui mi guardarono così sbalordite, negando con veemenza di conoscere i suoi movimenti, che sgattaiolai via in direzione del tavolo dei cocktail, l’unico posto del giardino in cui un uomo senza compagnia potesse attardarsi senza sembrare solo e privo di meta.
Ero lì lì per sbronzarmi a causa dell’imbarazzo, quando…”
.

Ci sono anche altre possibilità comunque.
Dedicarsi al telefono – rischiando l’etichetta di asociale, ma vabbé (però per me non funziona molto bene, avendo un telefono di dieci anni fa).
La sigaretta unita all’aria pensosa – per chi fuma (di nuovo, io non fumo); seguita in genere da un’altra sigaretta e poi un’altra ancora e così via.
La conversazione occasionale, appiglio di solito breve e instabile, talvolta pure rischioso.
Il divanetto dove riposarsi anche se non si è affatto stanchi, ma si vuole sembrarlo, e molto.
Il bagno, che se avete fortuna c’è pure un po’ di coda, tutto tempo perso e quindi guadagnato.
La perlustrazione della casa, fingendosi interessati ai nuovi mobili rigorosamente Ikea, ai quadri stampe di, alle fotografie appese alle pareti.
Il libro estratto casualmente dallo scaffale, da sfogliare lentamente e con minuziosa attenzione.
Il cane o il gatto con cui giocherellare (evitate invece di incantarvi davanti al boccione dei pesci rossi, non risulta credibile).
Il cubo di Rubik trovato su uno scaffale (qua siamo alla disperazione, ma in mancanza di qualsiasi appiglio…).
Tutta roba che comunque, presa isolatamente, dura troppo poco per colmare l’intera serata, e quindi va usata in successione, con ripetizioni varie. Ad ogni modo non è difficile, e nel caso provateci.
Buona festa.

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