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Alieni e granchi blu

Il cinema e la letteratura di fantascienza ci hanno abituato all’idea che, nell’improbabile ipotesi degli alieni giungessero sulla Terra, si rapporterebbero a noi in maniera più o meno aggressiva (alieni cattivi) o più o meno socievole (alieni buoni); in un caso o nell’altro, saremmo il loro unico riferimento terrestre.
Esplicito meglio: abbiamo sempre dato per scontato che per i suddetti alieni, noi umani, saremmo gli inevitabili e unici interlocutori possibili quali rappresentanti eletti del pianeta.
Convinzione abbastanza bizzarra.

Francamente dubito vedremo mai piccoli omini verdi scendere dallo spazio su meravigliosi dischi volanti, ma immaginando che ciò possa un giorno accadere, il loro atteggiamento nei nostri confronti potrebbe essere piuttosto diverso da quanto abbiamo fantasticato per decenni (secoli?).
Chi mai arrivasse dallo spazio, sarebbe una forma di vita nata e sviluppatasi in un contesto completamente diverso dal nostro, dove le stesse basi biochimiche della vita potrebbero essere sostanzialmente differenti1.
Sarebbe inoltre una forma di vita capace di progettare una tecnologia per compiere viaggi lunghissimi (nell’ordine di decine, centinaia o migliaia di anni luce?); quindi, probabilmente, una forma di vita molto più avanzata di noi in termini di conoscenza e tecnica e, per così dire, di “capacità intellettive”.
Così, forse, agli “occhi” di questi alieni tanto diversi e tanto più evoluti, noi umani saremmo soltanto una delle numerose forme di vita animale presenti sul nostro pianeta, senza particolari qualità distintive.
Guarderebbero, forse, alla nostra socialità come noi guardiamo quella delle formiche, o alla nostra tecnica rudimentale come noi studiamo incuriositi le dighe dei castori.
Probabilmente finirebbero per giudicarci una specie invasiva, senza dubbio la più dannosa per gli ecosistemi terrestri: una specie da limitare come noi facciamo (o cerchiamo di fare) con altre specie animali.

E’ tutto un fatto di prospettiva, una sorta di relativismo allargato.
Ci pare così ovvio ergerci a giudici della natura, arrogandoci il diritto di contenere l’espansione o il numero di una specie piuttosto che di un’altra, si tratti di granchi, cinghiali od orsi.
Eppure, giudicheremmo gli alieni di cui sopra assolutamente malvagi, privi d’ogni etica, un male assoluto se, come specie più evoluta della nostra, applicassero a noi gli stessi ragionamenti e le stesse pratiche cui sottoponiamo altri animali.
Beninteso, non esprimo giudizi sul fatto che sia utile o meno all’ecosistema marino mediterraneo limitare la popolazione dei granchi blu; probabilmente è una scelta ragionevole anche in termini ambientali e scientifici.
Ciò che mi colpisce, piuttosto, sono le dinamiche culturali di questa scelta, compreso il linguaggio con cui ne parliamo: l’ovvietà della decisione, la naturalezza anche espressiva, terminologica, con cui la proclamiamo.
Ho l’impressione che nel nostro profondo ci crediamo gli unici davvero viventi2.

  1. Secondo alcuni studiosi è ragionevole ipotizzare che la chimica del carbonio possa essere alla base della vita anche in altri remoti pianeti dell’universo. Ma, ovviamente, la questione è ben diversa (e assai più improbabile) per ciò che concerne la forma cellulare o gli acidi nucleici quali elementi fondamentali di una vita sviluppatasi altrove. ↩︎
  2. Credenza, del resto, coerente con la narrazione di molte religioni. ↩︎

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